Idillio ribelle: madri e nonne contro la Tav

Dal numero 9 di XXD

Tutto ciò di cui si parla non esiste più: tende-cucina, roulottemedia center, mostre e cartelli: distrutto dall’attacco dei “professionisti della violenza” due settimane dopo queste interviste. Auguriamo a tutti i feriti una pronta guarigione, esprimiamo la nostra solidarietà con le vittime di una violenza ingiusta.

Il rombo dell’elicottero e il vorticare delle pale sono il Progresso che sveglia all’alba il presidio della Maddalena a Chiomonte, in val di Susa. O forse dovrei dire la Libera repubblica della Maddalena, perché così hanno ribattezzato l’area valsusini e alleati nella lotta contro le linee ferroviarie ad alta velocità, la Tav. Questo è un luogo di pratica democratica e di interposizione non violenta per bloccare un progetto devastante e illegale, osteggiato dalla maggioranza dei valsusini. E quei prati e boschi accanto a un’azienda vinicola e a un parco archeologico, concessi in affitto (o meglio, “plateatico”) dal comune sono oggi un luogo di socialità e condivisione ribelle.

A maggio è nato il presidio per non far passare le ditte che hanno ottenuto in appalti (e subappalti a catena di cui si perdono le tracce, come tipico dell’edilizia…) i lavori di realizzazione delle gallerie, che foreranno montagne fatte anche di amianto e uranio. E l’elicottero dei carabinieri preannuncia lo sgombero manu militari – nessun esproprio, nessuna procedura legale per ottenere il diritto di passaggio sono stati depositati: avverrà la notte del 27 giugno, con 80 feriti e l’avvio di un cantiere per un tunnel geognostico – che si dubita possa equivalere all’avvio effettivo dei lavori Tav per ottenere i finanziamenti europei. I ribelli –espressione dello spirito dell’intera valle – hanno contro la destra e la sinistra del parlamento, hanno contro i giornali e le tv che plasmano le opinioni di chi non ha un contatto diretto con la valle, e l’Alta velocità la vive come un ulteriore pezzo (costoso!) di un ambiente sempre più artificiale. Hanno contro l’Unione europea che continua a spostare il termine oltre il quale l’Italia non potrà più avvalersi dei fondi che ha stanziato per questo tratto di Tav, che costerà ben 20 miliardi di euro. Hanno contro il Progresso, parola che è arrivata a significare solo un modello di “sviluppo” che non si cura delle devastazioni dell’ambiente e delle vite umane pur di realizzare le Grandi Opere, aprendo megacantieri che soffocheranno nella polvere e nei detriti pericolosi l’agricoltura e la vita stessa della valle. Ecco i racconti delle valsusine che partecipano a questa nuova resistenza. Gianna de Masi di Rivoli, scovata in cucina, ci racconta perché è lì: ”Faccio parte del comitato No Tav di Rivoli. Sono tanti anni che partecipo alla battaglia No Tav, e credo che non sia una battaglia che si fa solo coi princìpi ma con la pratica, con la presenza. È un mondo particolare questo del No Tav, che porta con sé valori di condivisione. È un problema di tutti al di là di dove passa la Tav, è proprio l’approccio delle grandi opere perché la grande opera da fare in Italia sono le piccole opere di manutenzione del territorio, la messa in sicurezza, la stabilizzazione idrogeologica. Ho sempre visto in questi progetti faraonici più che altro la volontà di lasciare un segno. È dal tempo dei faraoni che bisogna far le piramidi perché parlino di te. Questo da un lato, dall’altro sicuramente ci sono interessi economici di dubbia legittimità”. “Tav = mafia” si legge sui fianchi dei monti, passando col treno nella valle. Prosegue Gianna: “Quindi è un problema di tutti, è un problema economico che investe tutta l’Italia e l’Europa. Ogni tanto si parla anche di finanziamenti europei come se questi soldi fossero di altri, ma sono soldi nostri!”

La mattina del 13 giugno arriva una delegazione della Fiom, e Nicoletta Dosio dialoga con loro: “Noi siamo per un lavoro dignitoso che non distrugga la vita delle persone, né luoghi, né denaro pubblico. Questo modello di sviluppo produciconsuma- crepa non serve né alla popolazione né a chi lavora: produce luoghi di sfruttamento e morte sul lavoro”. Nella tenda delle Alpi libere si legge: “La mia valle è la terra che Dio mi ha affidato. Ho l’obbligodi difenderla da ogni criminale   aggressione: no Tav”. Anche Dosio conferma): “Per noi è questione di vivere o di morire. Non è possibile compensare la salute e la distruzione del territorio. E qui in Val di Susa è una cosa che hanno capito tutti”.

E cosa rispondono le e i resistenti all’accusa di sapere solo dire di no? “Io per lungo tempo” racconta de Masi, “mi sono battuta contro questa cosa: non è vero, non siamo quelli del no. Ed è una cosa vera, perché al nostro No Tav corrispondono tutta unserie di sì: a una ferrovia efficiente, per i pendolari, che faccia lasciare a casa le automobili. Però devo dire che ho maturato la convinzione che c’è il diritto a dire no. È importante dare delle alternative, ma può non essere obbligatorio, nel senso che se una cosa è inutile e dannosa non la si fa. La mia storia è che il privato è politico, quindi porto la mia esperienza di donna, di madre, di donna di famiglia. Io coi no ho cresciuto due figli, e sono due ragazzi che son cresciuti bene. Ci sono delle cose a cui si dice no e basta.” Le madri e nonne della val di Susa hanno scritto una bellissima lettera indirizzata al presidente della Repubblica e alla sua signora, alle “gentili donne del parlamento italiano e del parlamento europeo, religiose e missionarie, donne del volontariato” .

Maria Chirio è una di queste madri e nonne: “Venivo oggi su in macchina e mi sembrava di andare a casa, mi ci sento proprio bene. Vengo qui, faccio da mangiare, puliamo i gabinetti, ascoltiamo le conferenze, le assemblee, come si fa a casa propria. E abbiamo tutti dei figli, dei nipoti, c’è un legame tra le generazioni. Così ci è venuta l’idea della lettera, è nata come una cosa così, e invece sta riscuotendo molto successo, abbiamo già più di duecento firme. Delle suore di Torino hanno risposto all’appello, ci han detto che sono con noi e ci seguono. Napolitano l’ha ricevuta”.

Si dice che il presidio qui sarà presto sgomberato, come vede le prospettive future?

“Io sono ottimista. Non lo sono sempre stata, ma adesso sì. Intanto questo suolo qua noi lo paghiamo, non siamo abusivi. E adesso i referendum sono andati bene, avranno qualche problema in più.” La giovane Stefania invece (da figlia?) ha sicuramente meno fiducia nell’ordine costituito: “Si avvicina lo sgombero, sono malinconica. La cosa più triste è che distruggono tutto. Ma ricostruiremo. Ero a Venaus quando ci hanno caricati, avevano gli occhi drogati, gridavano a quelli sulle ruspe ‘schiacciateli’”. Anche se la Libera repubblica della Maddalena non esisterà più, ci sono molti altri presidi No Tav in valle. De Masi mi parla di quello sulla strada tra Rivoli e Villarbasse: “È stato molto utile perché ha creato sensibilità, attenzione, era importante avere un punto anche per dire alla gente venite lì se volete informazioni.”

E cucinavi anche lì?

“Questo per me è irrinunciabile, quando abbiam costruito il presidio nevicava e non avevano ancora finito di piantare i pali del presidio che io sotto una tenda avevo già la cucina e preparavo la pasta per chi lavorava”.

Si dicono meraviglie delle cuoche dei presidi… 

“Sì, in generale c’è una battaglia tra giganti. Poi scatta anche la voglia di proporre le cose migliori che una sa fare… C’è una signora quasi ottantenne che per tutto l’inverno due giorni la settimana è sempre venuta e si è occupata di cucinare proponendo tra l’altro una cucina piemontese tradizionale. Ci sono anche queste dimensioni di vita che rendono questo movimento molto umano. I nostri avversari trascurano, sbagliando, il fatto che in Italia ci siano ormai tante realtà che lottano contro o per qualcosa e che lo fanno con una dimensione di condivisione umana di alto livello.