Un referendum di tanti anni fa

Dal numero 8 di XXD

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Laura Conti: Il tormento e lo scudo. Un compromesso contro le donne. Mazzotta 1981

“Il popolo comanda, il governo obbedisce” scriveva Laura Conti nel 1981 a proposito di un altro referendum, cui gli italiani vennero chiamati da più partiti per rispondere a una complicata serie di quesiti su una materia veramente semplice: la facoltà di abortire delle donne. Nel bellissimo Il tormento e lo scudo. Un compromesso contro le donne, uscito per Mazzotta nel 1981, la biologa e attivista si incaricò di spiegare in dettaglio le proposte dei diversi partiti e del Movimento per la vita, ma non è questo il nocciolo del libro – altrimenti non sarebbe un classico perduto del femminismo ma solo un instant book d’antan, un curioso reperto, pur impreziosito dalla geniale fantasia della Conti, che trova analogie impagabili tra gatti annaffiati ed embrioni che sono embrioni che sono embrioni, e non uomini. Da cui discende il semplice corollario che chi abortisce non è un’assassina.

La semplicità della questione è: vogliamo che le donne abortiscano in condizioni di igiene oppure che lo facciano a rischio della pelle nei modi più assurdi? Perché, quanto ad abortire, le donne abortivano e abortiranno. Per Laura Conti si trattava di una questione di libertà: chi non dispone del proprio corpo non può essere veramente libero. Nel caso delle donne, il nostro corpo può certo accogliere una nuova vita – ma anche rifiutarla se non vogliamo essere madri, nemmeno per i nove mesi di gestazione. È una scelta semplice, mettendo da parte le credenze religiose e gli oscuri timori proiettati sulle donne (“Ti fai scudo della tua angoscia di non essere nato con il tormento cui condanni le donne, che possono voler abortire” è la ragione del titolo): la scienza non può che affermare che un embrione è tale, e quindi non è una persona, perché non vive al di fuori del corpo della donna, quindi della volontà della donna di farlo esistere e sviluppare. Poi l’etica della singola donna le farà decidere se è morale o meno ricorrere all’aborto, ma la questione etica non deve influenzare le leggi dello stato. Il tormento e lo scudo è una riflessione sulla condizione umana che parte dai nostri legami con l’intera Vita, dai parameci ai nostri cugini mammiferi, per dimostrare che – in una specie priva di estro – è necessario per l’equilibrio demografico il ricorso all’aborto, data la certezza su grandi numeri di fallimento o impossibilità della contraccezione. Si arriva infine agli squallidi compromessi che fa la legge 194 sulla pelle delle donne, per il nobile scopo di salvaguardare gli interessi di ospedali e case di cura religiose. Vi siete mai chieste perché non si abortisce nelle cliniche private, o perché vi sia una soglia di 90 giorni oltre la quale la donna non può più fingersi pazza per ottenere l’autorizzazione medica? Nel libro la risposta.

Il messaggio principale è che quei referendum, o per lo meno il loro risultato (visto che la proposta radicale, che avrebbe dato la possibilità di abortire anche nelle case di cura private fu respinta anche per l’opposizione degli altri partiti laici), non risolsero la questione, soprattutto perché chi sceglie di occuparsi di ginecologia può essere esonerato dal fare abortire una donna, grazie all’obiezione di coscienza introdotta dalla 194. Come scrive Laura: “Chi si iscrive alla scuola di specializzazione in ostetricia dopo l’approvazione della legge che ammette l’aborto non deve poter sollevare obiezione di coscienza”. Perché non va a fare, metti, il radiologo, come quei testimoni di Geova che non possono fare i chirurghi perché dovrebbero fare trasfusioni – e se non le fanno perché la loro religione non lo permette vengono giustamente licenziati in tronco?
Allora il referendum non salvò l’Italia dai tradimenti della classe politica nei confronti del popolo, ma si festeggiò una vittoria parziale, per lo meno nei confronti dei paladini crociati di Carlo Casini.