Alcune precisazioni in materia di maternità per altri

La maternità detta surrogata è un oggetto complesso e poco conosciuto. È difficile sintetizzare in un’intervista la posizione di chiunque, perciò vorrei chiarire alcuni punti che si potrebbero prestare ad equivoci. Sono sociologa e mi occupo di questo tema con il taglio delle politiche pubbliche, di cosa fare, come collettività, di questa possibilità. Pertanto nel mio libro Contract Children ne ho considerato tutte le diverse possibilità di realizzazione, che non necessariamente abbisognano di interventi medici. Consiglio anche a chi si sta pronunciando pubblicamente a favore o contro questo o quello, di approfondire prima di che cosa stiamo parlando – a partire da che cos’è la gravidanza e che cosa è la relazione di maternità con un/a futuro/a bambino/a.

Invece di partire da che cosa ritengo che, come collettività, sia opportuno non ammettere (in Italia per alcune sue forme ci sarebbe bisogno dell’introduzione di leggi apposite, che al momento solo Famiglie Arcobaleno richiede), vorrei partire dalle condizioni alle quali mi sembra realizzabile: per pochi e con un atteggiamento di grande umiltà e riconoscenza nei confronti della donna che “porta” la/il bambino/a, ovvero non di una “portatrice” o “surrogato”, ma di sua madre (naturale, di nascita) in virtù della sua relazione con il/la bambina/o in formazione durate la gravidanza fino al parto. Come per l’adozione e anche, a uno stadio precedente, per l’aborto), una donna può decidere di interrompere questa relazione, in questo caso a favore di chi ha un legame di sangue con il/la bambina/o, che deve rispettare la sua decisione e non certo attendere di portarle via un/a figlia/o con il parto come un rapace.

Non mi sento di escludere con una proibizione un accordo privato a favore del futuro padre – e in teoria dovrebbe essere possibile anche a favore di una futura madre ricorrendo alla donazione di ovulo, benché questo introduca delle complicazioni per la pesantezza degli interventi sul corpo delle due donne, su cui lascio aperta la pubblica valutazione dell’opportunità. Le condizioni alle quali ritengo eticamente ammissibile un accordo privato di questo tipo sono la sua assoluta gratuità e la volontarietà – condizioni che nel dibattito attuale sono rappresentate politicamente da Arcilesbica.

Perché queste due condizioni? Perché ogni accordo che a priori preveda il distacco di una madre naturale dal/la sua/o neonato/a a prescindere dalla sua volontà è disumano, e perché lo è altrettanto ogni conferimento di denaro da parte dei genitori “committenti” per ottenere un/a neonata/o attraverso quindi un commercio di bambini. La mia posizione pertanto non è favorevole all’introduzione di leggi particolari che regolino la pratica, né – in un contesto che dovrebbe piuttosto scoraggiare culturalmente la “genitorialità a tutti i costi” – di ammettere contratti che giuridicamente (e psicologicamente) forzino l’interruzione della relazione tra madri e figli.

 

(pubblicato anche su “Senonoraquando-libere”)