Bologna: camminata contro la violenza maschile

Le compagne di Nostuprialbar hanno fatto questa riflessione sulla recente esperienza di reazione collettiva a una violenza (messaggio ricevuto il 24 novembre 2014).
Ciao a tutte, oggi come contributo alla manifestazione contro la violenza alle donne vogliamo raccontarvi una storia di reazione collettiva a una violenza sessuale perpetrata da uno dei tanti stupratori che agganciano le donne nei bar…
A metà ottobre una nostra amica ci ha raccontato quello che le era successo. Lei stava già male per la violenza a cui era sopravvissuta, ma la cosa che la faceva più stare male era il silenzio che l’avevano invitata a seguire le persone coinvolte nella vicenda, perché dicevano che lei sembrava consenziente … Quasi  sicuramente lo stupratore aveva usato una droga da stupro, come le hanno confermato vari centri antiviolenza, che sentono ogni giorno racconti del genere; le esperte di questi centri le sconsigliavano di sporgere denuncia perché sarebbe stato molto difficile ottenere giustizia, anzi avrebbe rischiato di essere messa lei stessa sotto processo..
Stava succedendo quello che succede quasi sempre quando si sopravvive a uno stupro avvenuto durante una sbronza o quando sei fuori da sola … Ci si sente in colpa, perché sembra che ce la siamo cercata, nella morale comune se una donna beve o è sola al bar è “disponibile” …
La donna era disperata, finché non ha deciso di chiederci supporto per poter denunciare pubblicamente lo stupratore, in modo che non continuasse a violentare impunemente altre donne con lo stesso metodo. Le compagne si sono informate su di lui, Ricardo Piana, un quarantenne alternativo che passa il tempo a fare a gara con gli amici di twitter a chi si “scopa” più donne ubriache..
Non è stato facile organizzare in 10 giorni una camminata di donne in una via come il Pratello, frequentata da Piana e dai suoi amichetti di merende, non è stato facile affrontare tutti i dubbi, le critiche di tante a cui abbiamo chiesto solidarietà, ma alla fine ce l’abbiamo fatta.
 Vogliamo ringraziare quel centinaio di donne che è sceso in piazza con noi, che ha accettato di fare una camminata silenziosa in quella via piena di molestatori da bar, che ad altre camminate ci avevano aggredito anche fisicamente..
Abbiamo distribuito il fumetto che ha disegnato la donna sopravvissuta, abbiamo riempito la strada di contenuti femministi e lesbici contro la violenza e per la prima volta non siamo state attaccate. Era un silenzio di donne organizzate, determinate a comunicare alle altre donne e a non raccogliere provocazioni.
Perché il nostro obiettivo era quello di arrivare tutte, sane e salve, sotto casa dello stupratore, a denunciarlo alle altre donne, ad avvertire i vicini di casa. Ora è lui a non uscire di casa, a vergognarsi, ora che le sue vicine di casa sono scese in strada con noi, che si sono affacciate alle finestre per informarsi. E così dovrebbe essere per tutti, dai molestatori da bar ai fidanzati violenti, solo loro si meritano la riprovazione pubblica, sono loro a doversi nascondere, sono loro a dover mettere in discussione le loro pratiche violente.
La compagna sopravvissuta allo stupro continua a ringraziarci tutte, ci dice che non sa proprio come avrebbe fatto senza la nostra solidarietà attiva. Noi le siamo grate per essersi esposta, cosa che tantissime altre non sono riuscite a fare, grazie a lei, per una volta, abbiamo potuto denunciarne almeno uno di quei tanti che approfittano di donne o lesbiche in stato di incoscienza. Ringraziamo anche le compagne dell’autodifesa femminista che ci hanno dato gli strumenti e la solidarietà immediata e incondizionata.
Basta rinchiudersi nel dolore del silenzio: con il silenzio avalliamo il sessismo, gli stupratori si sentono in diritto di rifarlo con altre, e togliamo forza alla donna che denuncia.
E soprattutto non ci dividiamo tra donne, approfittiamo della forza di una che ci permette di liberare o salvare tante altre.
Sabato 15 abbiamo trasformato il nostro dolore in rabbia e la nostra rabbia in lotta organizzata di donne, e continueremo a farlo, perché ci rafforza TUTTE.
Invitiamo tutte a moltiplicare le pratiche di denuncia collettiva e solidale, perché quando una di noi viene colpita vengono colpite tutte!!!
Scendiamo in piazza e prendiamo spazi per noi, gli unici sicuri!!!
Per adesioni, materiali da diffondere o denunce : nostuprialbar chiocciolina autistiche.org
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Prostituzione di strada in Emilia-Romagna

La tesi di dottorato di Lorenza Maluccelli sulle politiche g-locali sulla prostituzione di strada in Emilia-Romagna, per il dottorato in Critical Theory and Cultural Studies presso l’Università di Nottingham

«Pressioni globali, misure locali»: la prostituzione di strada nella provincia italiana

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Dalle sante alle blogger: DCA

Pubblichiamo negli speciali di Editrice XXD un lavoro di Irene Cavalieri: DISTURBI DEL COMPORTAMENTO ALIMENTARE: TEORIA SOCIALE E INTERPRETAZIONE DEL SÉ

Scarica qui il testo

APPENDICE: LE INTERVISTE Scarica qui

willendorf

iNDICE
CAP. I: LA STORIA DEI DISTURBI DEL COMPORTAMENTO ALIMENTARE
Gli albori
Le “sante anoressiche”
Streghe e possedute
Dalla possessione allo spettacolo ed alla politica
Dallo spettacolo alla malattia
CAP. II: SOCIETÀ E DISTURBI DEL COMPORTAMENTO ALIMENTARE
Un inquadramento teorico
Disturbo etnico
Patoplasticità e sindromi culture-bound
Disturbi del comportamento alimentare in Asia, Africa, Sud America
Embodiement
Critical feminist approaches
CAP. III: COSA SONO I DISTURBI DEL COMPORTAMENTO ALIMENTARE
Anoressia, bulimia, binge eating disorder
Una descrizione medica
Una descrizione narrativa
Metodo medico standard e approcci alternativi
CAP. IV: DISTURBI DEL COMPORTAMENTO ALIMENTARE, TEORIA SOCIALE E INTERPRETAZIONE DEL SÉ
La definizione di “malattia mentale”
Disturbi del comportamento alimentare: il continuum con le norme sociali
La malattia mentale come ribellione: modello unico e questione di genere
La cura e “il dopo”

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Matrimoni forzati e strategie di intervento

Giovedi 20 marzo alle 16.30, aula M103, via Santa Sofia 9, Università degli Studi di Milano

In qmf santa sofiauesto incontro parleremo della questione, legata all’obbligo all’eterosessualità, dei matrimoni forzati. Si tratta di qualcosa che appartiene anche alla nostra storia recente italiana (vedi il rifiuto di Franca Viola negli anni 60), ma che oggi principalmente nel nostro paese riguarda i giovani nati o cresciuti in Italia da famiglie di varia provenienza geografica, in particolare del sud-est asiatico e dell’Africa. In questi luoghi è un compito preciso dei genitori, riconosciuto dai figli, occuparsi del loro matrimonio. Anche nei luoghi di origine, e forse più facilmente in terra di emigrazione, i giovani spesso contestano le scelte dei genitori, sia riguardo alla persona proposta che alla tempistica del matrimonio, che all’obbligo di creare una coppia eterosessuale, se il proprio orientamento è invece omosessuale. Parleremo quindi di che cosa sono i matrimoni combinati, come rischiano di trasformarsi in matrimoni forzati, e delle metodologie di intervento elaborate in Italia e in altri paesi. I relatori saranno Daniela Danna, ricercatrice in sociologia, e Francesca Paltenghi, avvocata presso Unhchr e componente della commissione territoriale di Milano per il riconoscimento della protezione internazionale. Organizza il collettivo Gay Statale.

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Report on prostitution laws in the European Union

di Daniela Danna

Mi scuso per l’inglese ma il rapporto è in questa lingua. La traduzione è in corso.

DOWNLOAD THE REPORT IN PDF: EU prostitution laws

DOWNLOAD THE REPORT IN WORD: EU prostitution laws

bibliography: report bibliography

This is my work on EU member states’ laws on prostitution (the PDF version is for better printing because of its numerous tables). It should have been the first part of a report for the EU Commission that I was coordinating, compiling it with the help of other experts, but I was forced to retreat from the project because my work has been rendered impossible by the abolitionist stance of the Gender Equality division officers to whom I had to deliver the report. Their fanaticism (personally experienced during the only meeting we had in Brussel in late June – after lots of hostile and unreasonable comments on my written work) was deaf to all empirical research demonstrating that prostitution acts do not necessarily amount to violence against women, and that sex work is different from trafficking. What I was to understand is that my role should be simply to give them reasons to justify the extension of the criminalization of clients to the whole EU. (I don’t know how they got this power over a document that was commissioned and should be presented to the EU Commission.) This is contrary to our national Sociological Association’s ethical chart, that prohibits us from being influenced in drawing our research conclusion by requests from committers – and I totally agree with this article. The coordination role was given to Liz Kelly and Madeleine Coy.

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La violenza infanga solo chi la fa: coming out day

di Sophie Brunodet

piccolo_logo comingIn occasione della giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, indetta dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 1999 – ma recepita e celebrata in Italia solo a partire dal 2005 per iniziativa di centri antiviolenza e di case delle donne, e solamente negli ultimi anni accolta e onorata più trasversalmente da differenti realtà sociali e dalle istituzioni – qualche giorno fa, nel cuore di Torino, si è ascoltata la voce di donne che hanno subito violenza. Il Centro studi e documentazione pensiero femminile e la redazione di XXD rivista di varia donnità hanno portato in piazza Castello sabato 23 novembre 2013 un’iniziativa molto forte e significativa, che è stata accolta e rilanciata da diverse associazioni, cooperative, coordinamenti, con l’obiettivo di poter ripetere ed estendere l’esperienza in futuro, in varie città d’Italia.

Mi racconto perché non voglio essere raccontata”

“Nessuna colpa, nessuna vergogna” è il grido di battaglia dell’iniziativa che si oppone ai cliché tradizionali che fanno della donna una pura vittima impotente, nonché sempre in una certa misura corresponsabile della violenza subita, e della vittima una persona priva di forza e di voce. Dimostrando grande carica e coraggio, le donne presenti in piazza hanno fatto un importante passo verso la rottura della spirale del silenzio che troppo spesso e per lo più avvolge i casi di violenza e frantuma la voce di chi l’ha subita per la paura di ritorsioni, certo, ma anche per la vergogna di rendere pubblico qualcosa di intimo e di sconveniente, per il quale spesso si viene giudicate complici, responsabili e sporche. Se il coming out – la pratica di affermare pubblicamente verità private e scomode per chi le asserisce, ma anche per la società che le riceve – è una prassi politica già utilizzata nella lotta per il riconoscimento del diritto d’aborto negli anni Settanta e nelle battaglie contro la discriminazione basata sull’orientamento sessuale ogni giorno, sabato tale strategia è stata portata in piazza da donne più o meno giovani che hanno subito violenza nella loro vita, contrastando l’idea secondo la quale affermare ciò che si è subito sia pernicioso per la dignità della vittima; riconoscendo il legame di complicità esistente tra “silenzio”, “vergogna” e “violenza”; asserendo tutte assieme e a gran voce che “siamo sopravvissute” e “non tocca a noi vergognarci”.

L’85 percento delle violenze subite dalle donne avviene all’interno di rapporti sentimentali

In Italia dal primo gennaio al 25 novembre 2013 sono state uccise 128 donne tra i 15 e i 90 anni, denuncia il Telefono rosa. Secondo la ricerca Istat del 2006 denominata “La violenza e i maltrattamenti contro le donne dentro e fuori la famiglia” ogni tre giorni in Italia un uomo uccide una donna; ogni sette minuti un uomo stupra o tenta di stuprare una donna; le donne che nel nostro paese subiscono violenza sono più di sei milioni. E se in generale il numero di uccisioni di uomini da parte di uomini è in diminuzione, è costante quello delle donne da parte di uomini ed è in aumento il numero di violenze e morti che avvengono nel contesto di relazioni affettive. Ancora, secondo l’ultimo rapporto presentato dall’Oms, dal nome “Stime globali e regionali della violenza contro donne” nell’arco della vita ben sette donne su dieci nel mondo subiscono violenza, spesso in paesi che non considerano questo un reato, e un quarto delle donne europee subiscono una violenza fisica o sessuale dal proprio partner.

Di fronte a cifre come queste non si può rimanere in silenzio né si può evitare di parlare di “femminicidio” e di violenza di genere, quotidiana e diffusa più di quanto il perbenismo faccia riconoscere. Infatti, non si tratta di singoli casi isolati né di fatti riconducibili a un ambiente, una religione, una cultura, una nazionalità precisi. Quello di cui si sta parlando è la più diffusa forma di violenza al mondo, perpetrata ai danni delle donne in quanto donne, da uomini che solo in alcuni casi sono pazzi, malati, delinquenti che si ha avuto la sfortunata coincidenza di incontrare. La maggior parte delle volte, in realtà, gli uomini violenti e assassini sono padri, mariti, fratelli, cugini, conoscenti che vivono o frequentano le nostre case. Quel focolare domestico così assiduamente decantato nel nostro paese tanto dalla morale pubblica quanto dai media e dalla politica, risulta essere, in realtà, il teatro di osceni delitti, psicologici e fisici, contro le donne. Scelleratezze di cui vittime sono le donne, ma che non è, e non si può continuare a ritenerlo tale, un problema di genere. È una vergogna – questa sì che lo è! – che riguarda tutti: tanto gli uomini quanto le donne devono aprire gli occhi e farsi carico delle proprie responsabilità nel perpetrare modelli di comportamente e aspettative sociali sessiste, maschiliste, violente.

Stai più attenta la prossima volta”

La violenza contro le donne non è né una rarità né un problema di ordine pubblico, bensì è un fatto culturale, trasversale alla società e fortemente radicato nella famiglia, uno dei luoghi principali attraverso cui passa la socializzazione primaria, ovvero in cui si trasmettono e si fissano modalità di comportamento, scale di valori, usi e consuetudini ispirate dall’ambiente sociale esterno. Si pensi alla assuefazione generale rispetto alla mercificazione di corpi nudi femminili fatta da parte dei media; all’inerzia con cui si accettano i motti di spirito volgari con oggetto le donne fatte da politici, uomini dello spettacolo, baristi o vicini di casa, piuttosto che le frasi del tipo “non sta bene fare così per una ragazza” oppure “sei sicura che sia il caso di uscire da sola” o ancora “beh, con quella gonna lì però…”. È parte naturale del lavoro di una cameriera essere baccagliata, e magari anche sfiorata, mentre passa col vassoio; è normale per una donna ascoltare commenti osceni mentre passeggia o inforca la bicicletta; è scontato che una donna che voglia essere presa sul serio debba coprire il proprio corpo ed è comprensibile che il proprio compagno sia geloso dell’aspetto e degli atteggiamenti della sua compagna, invitandola alla moderazione per difendere il proprio onore e la propria virilità. Questi sono solo alcuni esempi di una rovinosa mentalità diffusa: condivisa e tramandata tanto da uomini quanto da donne, che fa delle donne facili bersagli di violenza in generale, ma sopratutto, tragicamente, nella propria cerchia famigliare.

La violenza è anche mischiata all’affetto: le sfumature sono tante”

Nonostante si abbia l’abitudine di pensare differentemente, nel mondo non esistono dicotomie nette che permettano di distinguere inequivocabilmente il bianco dal nero, il buono dal cattivo, la vittima dal carnefice. La sua realtà, i fatti della vita e i suoi protagonisti son ben più complessi, variabili, e colmi di sfumature di quanto ogni dottrina, dogma, morale, politica o consuetudine voglia farci credere. Spesso la violenza non è una realtà a parte rispetto all’amore e il dito accusatorio non è indirizzabile inequivocabilmente contro qualcuno soltanto: in verità siamo tutti, donne e uomini, complici di un sistema di valori e modelli di comportamenti discriminatorio. Per questo, bisogna riconoscere quanto sia sbrigativo e semplicistico attribuire ruoli, definire una volta per tutte parti precise recitabili da chicchessia; quanto sia arrogante e sgarbato pretendere di poter capire e spiegare sempre e comunque eventi che sono personali, unici e irripetibili; quanto sia paternalistico esigere di dare risposte e protezioni a chi viene giudicato incapace di farlo anche da sé; quanto sia omertoso tacere fatti scomodi e ingombranti della vita di singole persone o di intere categorie.

Mi riprendo lo sguardo fiero di quando ero bambina”

Ebbene, la voce delle donne che sabato hanno preso parola in prima persona, davanti a un buon gruppo di uomini e donne, giovani e vecchi, interessati, curiosi e passanti, testimoniando le violenze da loro subite da parte di padri, cugini, cognati, datori di lavoro, insegnanti ecc. ha rappresentato un importante e forte momento di verità che ha sollevato, almeno per un momento, il pesante, polveroso e colpevole telo del silenzio steso sulla realtà della violenza di genere: come asserito dalle organizzatrici “ogni volta che unite e forti denunceremo in una piazza la nostra storia toglieremo forza ad ogni forma di violenza con la quale ci vogliono annientare”.

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Nessuna colpa, nessuna vergogna: impressioni e riflessioni dei giorni dopo il coming out

DAL PROSSIMO ANNO VOGLIAMO ESSERE IN TANTE PIAZZE D’ITALIA. Per aderire e organizzare insieme l’evento il prossimo anno scrivete a: info@pensierofemminile.org

Sono molti i commenti che si stanno accumulando sul sito del paese delle donne in risposta all’articolo delle donne di Medea Torino. Vorremmo considerare questo scambio un contributo al dialogo e alla riflessione sulle iniziative del 25 novembre, abbiamo invitato Medea Torino ad organizzare con noi questo momento e riteniamo importante allargarlo a tutte le associazioni e singole che vogliano partire da qui per pensare al prossimo anno

Vi invitiamo a commentare anche da qui

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nessuna colpa, nessuna vergogna!

sabato 23 novembre 2013, ore 15.30 piazza Castello, Torino

NESSUNA COLPA – “NESSUNA VERGOGNA! ”

il coming out delle donne che hanno subito violenza
(scarica e leggi il comunicato)

 Noi donne che abbiamo subito violenza spesso ci sentiamo in colpa e ci vergogniamo, diventando così vittime di una nuova, meschina e a volte peggiore violenza, che ci paralizza, ci rende inermi e nasconde la nostra forza. Anche quando è “finita” a volte continuiamo a sentire la vergogna della nostra esperienza ed è faticoso parlarne. Temiamo che dicendolo alle altre e agli altri verremo giudicate e saremo considerate delle perdenti, “sporche”, inadeguate. Come se parlarne danneggiasse la nostra dignità per colpa di chi senza alcun senso della dignità ha commesso contro di noi un crimine.

NON TOCCA A NOI VERGOGNARCI, tutto questo deve finire.

In questa giornata vogliamo dire a chi è causa del nostro silenzio e del nostro isolamento che non abbiamo più paura e non siamo sole.

Il 23 novembre saliamo sui palchi nelle piazze e scandendo forte insieme “nessuna colpa – nessuna vergogna” testimoniamo la nostra esperienza o con un solo gesto o con alcune parole o con una breve storia. Togliamogli la meschina e violenta arma della colpa, con orgoglio gridiamo che SIAMO SOPRAVVISSUTE ALLA VIOLENZA!

OGNI VOLTA CHE UNITE E FORTI DENUNCEREMO SUL PALCO DI UNA PIAZZA LA NOSTRA STORIA TOGLIEREMO FORZA AD OGNI FORMA DI VIOLENZA CON LA QUALE CI VOGLIONO ANNIENTARE.

La giornata è promossa da “Centro Studi e Documentazione Pensiero Femminile” di Torino e dalla redazione di “XXD, rivista di varia donnità”. Chi vuole portare la propria testimonianza e/o partecipare all’organizzazione della giornata può contattare il “Centro Studi Pensiero Femminile di Torino” scrivendo a info@pensierofemminile.org. Chi volesse organizzare l’evento in altre città può ugualmente aderire, ci coordineremo in una azione comune.

La prima riunione organizzativa, per decidere le modalità di svolgimento e le attività a supporto delle donne che saliranno sul palco è prevista nei primi quindici giorni di ottobre e verrà concordata con chi avrà aderito fino a quel momento.

L’INIZIATIVA È APERTA AD OGNI CONTRIBUTO ED HA BISOGNO DELLA FORZA DI TUTTE

Pubblicheremo sul blog di XXD, www.danieladanna.it/xxdonne, tutti i contributi che ci arriveranno e la lista delle associazioni, enti e persone che vorranno aderire alla manifestazione aggiornandola ogni quindici giorni fino alla data del coming out contro la violenza

 Note per associazioni e singole donne interessate all’iniziativa:

  • questo coming-out potrà avere per le donne che lo fanno un aspetto liberatorio e di promozione dell’autostima, ma questi possono essere considerati “effetti collaterali”. Il significato dell’iniziativa è spiccatamente politico e parte dalla consapevolezza che il silenzio è il più importante alleato della violenza contro le donne

  • fa parte della stessa consapevolezza (oggi riconosciuta anche a livello istituzionale – v. convenzione di Istanbul) riconoscere alla violenza un ruolo cruciale nel rapporto tra gli uomini e le donne e nell’assegnare a queste ultime un ruolo culturalmente subalterno e socialmente discriminato

  • l’invito al coming-out parla di “salire sui palchi”. È un’immagine che ci piace ma siamo coscienti della difficoltà logistica di allestire dei palchi: qualunque posizione di visibilità andrà benissimo. Sempre ai fini della visibilità sarà utile avere dei cartelloni con cui delimitare lo spazio e un impianto di amplificazione. Ad esempio un furgone che attiri l’attenzione con dei brani musicali da intervallare alle testimonianze

  • il senso politico del coming-out è portare il privato in pubblico. Dunque la diffusione mediatica dell’evento è molto importante

  • appunto in previsione della diffusione pubblica è ovvio che ben difficilmente si può pensare a testimonianze personali su situazioni di violenza in atto. Anzi queste sono da sconsigliare. Si può presumere invece che parlino donne che hanno superato positivamente la loro esperienza di violenza

  • le donne che vorranno e potranno offrire la loro testimonianza dovranno poter essere accolte da un gruppo di sostegno da predisporre e rendere visibile

  • andrà inoltre previsto un cordone protettivo. A Torino verranno chiamate a supportare l’iniziativa le compagne dei gruppi di autodifesa femminista, presenti anche in molte altre città italiane.

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Mettere al bando i gas CS

L’Osservatorio sulla Repressione ha pubblicato un libretto di denuncia dell’uso da parte delle forze dell’ordine in Italia e in altri paesi di gas proibiti dalla Convenzione di Ginevra in quanto armi chimiche dagli effetti devastanti. Sul sito dell’Osservatorio è possibile firmare per la loro messa al bando.

Qui o sul sito dell’Osservatorio puoi scaricare il documento informativo: Lacrimogeni come arma chimica di repressione di massa

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L’esperienza della prostituzione

Editrice XXD presenta l’opuscolo di Anna Giulia Ferrario

L’esperienza della prostituzione

Scarica e leggi questa raccolta (ragionata) di interviste su temi come le motivazioni ed aspettative rispetto alla migrazione, la partenza e il viaggio, la consapevolezza del lavoro di prostituta, l‘arrivo in Italia, i rapporti tra prostitute, con i clienti, con le forze dell’ordine, lo stigma sociale…

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