Le figlie di Egalia di Gerd Brantenberg

Un classico fantapolitico degli anni Settanta è il nostro primo volume. Tantissimi classici del femminismo sono fuori commercio, non rappresentano mode intellettuali e non hanno incontrato l’interesse di grandi editori, oppure questi li hanno destinati all’oblio lasciandoli fuori catalogo. Abbiamo fatto in tempo (mooolti anni fa) a comprare una preziosa copia de Le figlie di Egalia, prima che la casa editrice, la Estro di Firenze, si ritirasse dall’attività.
È un romanzo distopico, cioè ambientato non in un paese utopico ma in un mondo alla rovescia, dell’autrice norvegese Gerd Brantenberg. Nell’edizione inglese porta il sottotitolo “Una satira dei sessi” e in tedesco “Un romanzo sulla lotta dei sessi”. Il romanzo è stato scritto nel 1977 e fino alla fine degli anni ottanta è stato il libro norvegese più venduto all’estero.
Nel paese di Egalia i rapporti tra i sessi corrispondono a ciò che era la società e la famiglia nel pre-sessantotto, solo che il sesso forte è quello femminile. 

Il reggipene è un oggetto indispensabile contro gli inestetici dondolii, e il ragazzo protagonista del libro sta per comperare il suo primo RP – aiutato dal babbo che lo inizia ai misteri e alle gioie della maschilità, per quando entrerà in una ‘protezione di paternità’ con la donna amata e si occuperà dei suoi figli che la marita gli affiderà, impegnata nella vita pubblica e nel lavoro retribuito, di cui ai mogli arrivano solo le briciole: in cambio del loro occuparsi della casa e della famiglia si ottiene protezione e una sorta di amore non privo di commiserazione. Il signorino Petronio è però scettico di fronte al destino tracciato per lui come per tutti gli altri maschi, e aspira a fare un mestiere – la donna di mare – che richiede coraggio e forza, per il quale tutti ovviamente lo ritengono inadatto a causa del suo sesso.
Il gioco del ribaltamento è spinto ancora più in là rispetto all’originale nella traduzione italiana in cui anche le cose hanno un genere grammaticale, e le inversioni possibili sono molte di più che in norvegese, che distingue solo tra il genere animato e quello inanimato, senza maschile e femminile (se non nei pronomi). Egalia è quindi retta da una Parlamenta e da una Governa, mentre i mogli portano il borsetto e si curano la barba con infiniti prodotti per renderla morbida e veramente maschile. E il neutro è naturalmente femminile: “Nessuna ti può vedere qui…”
Ma le questioni di sostanza sono anche più importanti di quelle di forma: può un uomo venire violentato da una donna? Certamente no, è solo un timido che ha bisogno di una spinta per capire i suoi veri desideri (“Perché no? Ma dai, non è niente”).
Può non vergognarsi del suo “bastoncino”? A Egalia – dove si parla solo di mestruazioni e gravidanze e vulve bagnate – evidentemente no. Può un ragazzo diventare “sommozzatoresso”, una parola ridicola e cacofonica per indicare l’inesistente maschile di “sommozzatora”, il duro e prestigiosissimo mestiere indispensabile alla protezione della terra di Egalia? Chiaramente no: non ha abbastanza coraggio e poi come potrebbe il reggipene entrare nella tuta? Può un ragazzo amarne un altro? Solo in alcuni luoghi nascosti nell’angiporto dove le donne si mostrano in abiti maschili e reggipene. Esilarante la scena nel bar omosessuale: il quadro appeso alle pareti del bar gay con i due fanciulli che teneramente si tengono per mano passeggiando al tramonto, è l’unica immagine pallurica (in parallelo con ‘lesbica’) del locale, adorno di fotografie di nudi muscolosi di donne tatuate.