Anti-diffamazione sulla surrogazione

Mi sono tornate all’orecchio cose che ho già sentito anni fa, cioè che “Danna pensa che i gay non siano buoni genitori”.

Non ho mai detto né pubblicamente né privatamente una cosa del genere, e nemmeno la penso, né l’ho mai pensata.

Siccome la cosa mi è arrivata (già tempo fa) insieme all’accusa di non essere una buona ricercatrice, colgo l’occasione per chiarire l’aspetto pubblico della questione: “Sono i gay dei buoni genitori?”. Faccio la sociologa (bene o male è naturalmente aperto alla discussione, ma auspicherei delle critiche più specifiche che non l’impossibile sintesi se io o il mio lavoro siamo buoni o cattivi) e non è mio mestiere giudicare la “bontà” (rispetto a cosa, poi?) della genitorialità del”una o dell’altra categoria sociale. Si tratta di un ambito di indagine psicologico, e appunto non è questo il mio mestiere. Non ho mai fatto ricerca su questa questione, ma sulle storie di vita e sul dibattito politico a proposito di “omogenitorialità”, riportando anche i risultati delle ricerche psicologiche sulle famiglie “omogenitoriali”.

Quando critico la maternità surrogata non parlo a livello delle singole famiglie e delle loro personali vicende, ma lo faccio chiedendomi che cosa fare collettivamente, pubblicamente, con la cultura e con il diritto, di un istituto come la maternità surrogata. In estrema sintesi, io non sono contro la maternità surrogata, a patto che sia volontaria, cioè per scelta della madre dopo la nascita, e gratuita, ovvero che non configuri un commercio di bambini.

Non credo di dover ulteriormente giustificare questa posizione, che rappresenta a mio parere il minimo comun denominatore etico con cui guardare alla faccenda, ma a ogni buon conto, siccome bisogna capire bene il significato delle parole che si usano (per esempio: una donna che partorisce è una madre, se non vogliamo coniare una neolingua orwelliana in cui diventa una “portatrice” – come gli sherpa, notava Yasmine Ergas – cancellando la sua esperienza) e siccome questa relazione è diventata in alcuni paesi un’istituzione legale, ci ho scritto un libro: Contract children. Questioning surrogacy, che uscirà in autunno per la casa editrice Ibidem (vedi volantino).